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Tante opere della letteratura e del cinema mondiale sono rimaste per troppo tempo dimenticate in scaffali ammuffiti o in umide soffitte. Questa rubrica si propone di riscoprirle e di dare loro il risalto che esse giustamente meritano. |
Titolo: Le amorose attenzioni di Padre Anselmo Edito dalla Tizzoni, Roma, 1999; in collaborazione col Collegio Clericale dei padri Scolopi (scomunicati) di Lampedusa; 67 pagine (forse), cinque volumi; Prezzo £ 250.000 (pagabili solo in sei comode rate decennali). Devo confessare che mai nella mia carriera di critico culturale ho recensito un libro di tale spessore e profondità. Era dai tempi della scuola, da quando facevo finta di leggere i Promessi Sposi, che non mi capitavano sottomano cinque volumi di arte pura, sebbene non abbia capito nulla della trama e il terzo capitolo sia privo dei segni di interpunzione e risulti illeggibile. Messa bene in risalto è la figura di padre Anselmo, tarchiato, scuro di carnagione, con lunghe mani pelose e viscide, privo di un occhio e dall’andatura malferma e insicura, tanto che subito ci ritornano alla mente alcune immagini del Paradiso Perduto di Milton, o le strane forme della panettiera all’angolo (non so voi, ma io da quando mi sono trasferito non mangio più pane, preferisco i biscotti del gatto!). Il sesto capitolo, nel quarto volume, è quello più interessante e innovativo: possiamo notare la presenza di due tipi di scrittura paralleli, uno che narra accuratamente dei peli delle ascelle di padre Vladimir che —cito — sono “lunghi, setosi, mossi da un venticello calmo e pallido d’ottobre, lasciati crescere come selvaggi guerrieri dell’epidermide”, e l’altro che spiega il motivo per cui padre Anania non riesce a sopportare la voce di padre Curdo: secondo lui — e cito ancora— “padre Curdo non parla, starnazza frasi incomprensibili con l’aria di chi ha perso il portafogli di recente”. L’ultimo capitolo è invece un autentico colpo di scena, anche perché la numerazione delle pagine incomincia a seguire una logica particolare, che oserei definire totalmente insensata; viene descritto il monastero (che come finale è geniale!) in ogni suo minimo dettaglio, perfino le celle di tortura al terzo piano che servivano ai frati per infondere nei fedeli l’amore e la fiducia verso i precetti devozionali. Si passa a menzionare in ordine cronologico tutte le morti avvenute nelle mura del monastero per intossicazione alimentare, ultima quella del frate cuoco, morto per un’accidentale pugnalata alla schiena, seguita da castrazione, impalamento e amputazione, sempre accidentale, degli arti e della collana di spighe di grano, che egli tanto amava. Tutto è sottolineato da straordinarie illustrazioni, realizzate con colori a matita dal figlio dell’autore, di nove anni: sono un elemento fondamentale per la comprensione del testo, anche se alcuni disegni raffigurano il sole coi raggi, un prato verde e uomini con sei braccia e un sorriso ebete. Certe volte, però, il tratto a matita ricorda in maniera palese le linee di Guttuso, tanto fedelmente che Oriano Gratella è attualmente sotto processo per plagio e violazione dei diritti d’autore, nonché indagato per abuso di carica religiosa, false generalità e atti osceni in un alveare. [Merita il massimo, cinque sorrisi, e aggiungerei due stelline, tre palline, un funghetto e due carciofini] a cura di
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