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QUINTO ED ULTIMO CAPITOLO

La matassa ormai si stava dipanando.
Ad uccidere Julius Strandberg era stato Frank “Marocco“, il maggiordomo, con la complicità di Felicia o Felicia con la complicità di Frank o solo Frank senza Felicia o Felicia da sola o Clara con Felicia e Frank o Frank e Clara o Clara da sola o un ladro o la moglie od un avversario politico o il postino, sempre che non si fosse trattato di un suicidio ben organizzato.
Bene, tutto mi sembrava abbastanza chiaro: avrei arrestato Frank...
A rendermelo più sospetto degli altri era stata la sua basetta destra, che avevo costantemente tenuto d’occhio, sebbene anche la basetta di Felicia fosse alquanto sospetta.
Iniziai con voce suadente:
- Forza Frank, ti conviene dirmi tutto. Se confessi, il giudice ne terrà conto e ti farà uno sconto di pena di almeno 7 minuti…
- …Si, certo… -

Era strana questa sua arrendevolezza, ma, forse, aveva capito che con me non si scherza.
- Ora dimmi quando l’hai fatto fuori…
- …alle 5 e 30…
- E’ quella l’ora dell’omicidio?
- -…..si, al bar centrale…
- come, non lo hai ucciso qui nella villa?
- No, al bar Centrale fanno delle ottime brioches… -

Lo sentivo leggermente assente. Forse il rimorso lo stava distruggendo.
- Ma perché, Frank, qual'è stato il movente?
- Un buon caffè e la schedina… -

La schedina?! Di quale schedina andava blaterando?
- Frank, devi essere più chiaro, perché io non sto…
- Ok! Ora ti lascio, perché devo parlare con quel detective… ciao, si, ciao ciao! -

Mentre lo guardavo sbalordito, Frank si tolse l’auricolare del telefonino.
- Mi scusi, signore, stavo parlando con mio cugino. Allora, diceva? -
Così parlava al telefono, mentre io facevo domande al vento!
Sentii una rabbia sorda salirmi su dalle caviglie, soffermarsi sulle rotule per poi saltellarmi da una costola all’altra ed infine esplodermi nel gomito. Strinsi i pugni fino a sbiancarmi le orecchie; gli occhi da castani divennero viola ed i miei capelli si ondularono in modo sensibile. Dovevo scaricare questa rabbia sorda, questo incontenibile furore, questa furia incontrollabile, così pensai intensamente: Porca sozza!
- ORA BASTA! CONFESSA!! - urlai.
- Si! Si! Confesso! Sono stato io ! - esclamò una voce. Immediatamente,senza pensarci due volte e forse nemmeno una, mi tuffai sul divano ed ingaggiai una furiosa colluttazione; lo afferrai per lo schienale e rotolammo sul pavimento, mentre gli sibilavo nei braccioli:
- Arrenditi, lurido divano, brutto figlio di una poltrona smollata! - Le mie minacce ebbero successo: riuscii ad immobilizzare il divano, mentre sentivo il maggiordomo che continuava: - Ommiodio…Ommiodio… - ed osservava spaventato una marea di cocci di specchi e vasi disseminati sul pavimento.
In quel momento sentii una voce tremolante che ripeteva
- S…sono q…qui! S…sono io che confesso,…non il divano -
Mi fermai ad osservarlo, mentre sentivo crescere un tremendo cerchio alla testa; fortunatamente risolsi questo problema quando il maggiordomo mi sfilò dalla testa quell’onnipresente vaso cinese!
So, cosa state pensando, che forse avrei dovuto riflettere un po’ e valutare la situazione; ma io ho un carattere impulsivo.
Di fronte a una situazione di pericolo il mio cervello invia al corpo il comando: SCATTA! Ed il mio corpo scatta. Solo una volta, quando mi trovai ad affrontare una montagna di muscoli di 1 metro e 95, ladro ed assassino, il mio cervello lanciò il comando: “AGGREDISCILO!” ed il mio corpo rispose:
- Chi? Io? - . Ma torniamo a noi.
Chi era quel tizio? Come mai si trovava lì?
Lo sottoposi ad un lungo interrogatorio, da cui emerse che era penetrato 3 mesi prima nella villa per rubare il pavimento del salone, ma poi, invaghitosi dell’attaccapanni aveva deciso di rimanere.
Ed era vissuto per quei tre mesi nascosto in un cassetto della cucina, uscendo solo la notte per mangiare ed incontrarsi con l’attaccapanni. Dopo alcune settimane, però, la sua tresca fu scoperta da Julius Strandberg che lo derise, dicendogli che l’attaccapanni lo stava prendendo in giro e che, in realtà, se la faceva con il porta-ombrelli. Di fronte a quelle insinuazioni lui non capì più niente e, d’impulso, gli piantò tre coltelli nella schiena, gli sparò in fronte e lo impiccò. Solo dopo, si rese conto di quello che aveva fatto e scrisse la lettera “Ho deciso di cambiare vita!” che fece supporre alla polizia un arresto cardiocircolatorio.
Grazie al mio metodo scientifico ed alle mie deduzioni logiche, ero riuscito a risolvere felicemente un altro caso. A proposito, quel tipo si chiamava Giovanpiero Canelli, ed abitava (fino a tre mesi prima) a Roccascannata Sottomonte Pozzanghera (TP) Via Baracche sbrecciate n. 2945803.
Unico neo: a causa dei danni causati dalla mia lotta con il divano, mi restavano 423 dollari… che dovevo dare ad Eva Strandberg. Ma non si può avere tutto dalla vita!


...Fine...

***Illustrazione di Alessandro Colantuono***

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