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Tante opere della letteratura e del cinema mondiale sono rimaste per troppo tempo dimenticate in scaffali ammuffiti o in umide soffitte.
Questa rubrica si propone di riscoprirle e di dare loro il risalto che esse giustamente meritano.



Titolo: Ucciderò Babbo Natale

Ucciderò Babbo Natale
di Francis For Copula ;
adattamento e regia di Gennaro Orso
Durata 6h e 25m, commedia brillante con sfumature incresciose.
In scena fino al 12 giugno al Teatro delle supposte Supposte, Roma.


Posso affermare, senza paura di smentite ufficiali da parte dell'Organizzazione Consumatori, che siamo difronte ad uno degli eventi spettacolari più intensi degli ultimi ottocento anni. Nemmeno la prima messinscena di "Le Caviglie delle Meraviglie" di Olaffson a Londra nel 1948 fece tanto scalpore (e dire che sul palco si potevano scorgere dodici caviglie!); a memoria d'uomo, non si trova un testo che ha subito così tanti riadattamenti e traduzioni (68 solo nel Bangladesh!), eccetto forse La Sacra Bibbia o la canzone "I love your merry skin" di George Gordon Noel. Basti pensare che in Canada è stato replicato per 4768 volte in una sola stagione ad intervalli regolari di tredici minuti, e che a Malta la cancellazione dal cartellone della rappresentazione ha causato uno sciopero dei Cavalieri che ha paralizzato l'isola per due settimane. In Italia lo spettacolo è passato quasi sotto completo silenzio, e prima del mese scorso erano in pochi quelli che avevano assistito ad una replica (in effetti la sera della prima in sala, oltre a me, c'erano solo Francesco Cossiga e Rudi Voeller). Ora, invece, la fila per le prenotazioni è tanto lunga che l'Amministrazione Comunale è stata costretta a chiudere al traffico il Raccordo Anulare.

Il riadattamento italiano di Orso ricalca fedelmente l'atmosfera brillante, distesa e apocalittica dell'originale "I'll kill you!" di Copula, perfino nella traduzione in italiano delle pause musicali e dei sei intervalli. La prima cosa che colpisce la fantasia dello spettatore, all'apertura del sipario, è la magnificenza della scenografia, un enorme pistacchio di sette metri in gommapiuma che ondeggia placidamente come il batacchio di una campana, sottile metafora del fluire tormentato della digestione. Ma la parte più struggente è, senza dubbio, il dialogo centrale tra il protagonista, Johnatan Johnatan, e sua moglie, Rodia, che gli rinfaccia di aver preso parte ad un dibattito politico riguardante l'assegnazione dei posti auto in Parlamento. Lascio a voi il giudizio:

Rodia - Così, ci sei andato? -
Johnatan - Non ho potuto farne a meno. Dovevo vedere con i miei occhi… -
Rodia - E non ti è bastato aver finito il puzzle in tre giorni? -
[Johnatan non le risponde, ma si avvicina alla quinta di destra mimando il passo del rinoceronte]
Rodia - No, tu volevi di più! Sempre di più! Desideravi la Conoscenza! Tutte quelle cerimonie… -
Johnatan - Sì, sì, amore mio, io voglio il Potere, voglio essere il pungolo della speranza, andare otre la meschinità per diventare pura energia… -
Rodia - Mentecatto! -
[Johnatan la afferra violentemente per i polsi, sbattendola sul pistacchio]
Rodia - Lasciami, lasciami, bastardo, o mi metto a urlare! -
Johnatan - E urla! Non farai altro che realizzare il vaticinio! [Pausa] Ti ricordi quando attaccai tua zia Carola al gancio di traino della roulotte? -
Rodia - Che gesto infantile! Già allora non avevi gusto. -
Johnatan - Non hai mai capito. Furono loro a ordinarmelo, gli stessi che mi chiesero in prestito il nostro tagliaerbe. Ma ora è tutto chiaro! Sei sempre stata tu la causa di tutto. [Pausa. Poi, con disprezzo] Ho già mangiato la metà della nostra torta nuziale, a tua insaputa. -
Rodia - E se ti dicessi che sapevo della tua scoliosi? -
[Johnatan la lascia terrorizzato. Si muove indietro con lo sguardo cupo]
Johnatan - Tutto è perduto, tutto. [Si stende sotto al pistacchio] Io non immaginavo che saremmo finiti così. Chiudi le imposte… E prepara il mio ski-lift. -
Rodia - Giuro che questa è l'ultima volta. - [Esce]

Tutta l'opera ruota attorno al problema dell'aspro rapporto tra gli esseri umani e i felini, toccando argomenti svariati, come le lotte casalinghe delle lontre, le incomprensioni sul posto di lavoro, la perdita di interesse alla vita che hanno i netturbini di una certa età. La scena finale, nella quale il decano Gibson scopre che suo nipote è in realtà l'attaccante dell'Arsenal Dennis Bergkamp, tocca i cuori e lo spirito di ognuno di noi; si esce dal teatro con un senso di incompiutezza e di indefinito che, a stento, una porzione di tagliatelle al pesto riesce a colmare.

Degni di essere menzionati sono anche i giochi di luce, che sottolineano la trama accompagnandola con un sagace effetto di ombre cinesi: sebbene il coniglio abbia trovato il maggior numero di consensi nel pubblico, io rimango sempre affascinato dalle maestose ali dell'aquila (o forse era una colomba? O un trio d'archi? O una cassa toracica? Meraviglioso). Da non perdere!

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[Aggiungo cinque sorrisi extra perché sono recentemente guarito dalla pellagra!]

a cura di
Rodrigo Alvaro Simon Maria Palombo
Nota sul critico


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