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I Guanti di Giasone

Chi non ricorda il mito di Giasone e gli Argonauti? Nessuno, credo.
Cosa si nasconde dietro la leggenda dell’Ariete dal Vello d’Oro? E davanti?
I più illustri storici hanno sempre pensato che si trattasse soltanto di mitologia, mere fantasie create dalle menti ottenebrate di popolani greci; ma ecco che un ritrovamento archeologico
I Guanti di Giasone
di incomparabile valore storico-politico-culturale sconvolge le menti altrettanto ottenebrate degli storici.
La prof.ssa Lanfufi, del Laboratorio Dentistico Paleontologico di Johannesburg, non ha dubbi: i Guanti di pelliccia e oro, ritrovati nella piana di Thorotheo, in Sudafrica, sono da attribuire certamente alla rude mano dell’eroe acheo Giasone, che li avrebbe fabbricati in un momento di abbassamento della temperatura corporea. Il prof. Wurstenfild dell’Università di Nairobi ha duramente attaccato la collega, sostenendo che i Guanti sono stati confezionati in un Calzaturificio di Bassano del Grappa da manovalanza altoatesina a basso rendimento, ma la sua tesi si fonda su presupposti inattendibili, come, per esempio, la presenza di un cartellino con la scritta “Made in Italy” all’interno di uno dei due manufatti. La prof.ssa ha ipotizzato una ricostruzione particolareggiata degli eventi che porteranno alla creazione dei famosi Guanti. Sappiamo che Giasone riunì un manipolo di valorosi, tra i quali ricordiamo Castore e Polluce, Peleo, Teseo e Amedeo, Seneca, Alessandro Magno e Aiace, per sottrarre al Drago l’aureo Vello, sacro ad Ares e a Fetonte; partiti, dunque, alla volta della Colchide, su una imbarcazione costruita da Argo, celeberrimo Mostro dai cento occhi (o forse era il cane di Ulisse: la leggenda qui non è chiara!), da cui deriva il nome “Gli Argonauti”, i nostri eroi affrontarono un viaggio periglioso e burrascoso, popolato da Sirene, Ciclopi, Proci e Penelopi varie. Giunsero quindi a Cartagine, dove la regina Didone si innamorò di uno di loro, Orfeo, che la rifiutò perché già promesso ad Euridice, morta l’anno prima, bruciata sul rogo come eretica. Intravidero le coste della Colchide mesi più tardi, e vennero accolti dal re del luogo, Eeace, e da sua figlia, Medea. Il re decise che Giasone avrebbe potuto tentare di recuperare il vello solo se avesse superato due tremende prove: la prima consisteva nell’affrontare un topo che sputava fuoco dalle narici, la seconda era di combattere i feroci Serpenti Marini, che avevano divorato già Laocoonte, nipote di Fetonte e cognato di Pindemonte. Superate brillantemente le prove, avvalendosi anche dell’aiuto di Medea, innamorata del giovane acheo, Giasone rubò il Vello d’Oro, eludendo la sorveglianza del Drago, grazie al sempre vincente stratagemma del Cavallo di Troia, che scaraventò a tutta forza sul cranio del povero animale addormentato.
I Guanti di Giasone
Una volta riusciti nell’impresa, gli Argonauti fecero ritorno a casa, ma per un piccolo errore di rotta, il loro nocchiero, Omero, li condusse nelle fredde regioni antartiche; tutti perirono assiderati in quella disavventura, tranne Giasone che utilizzò la spessa lana d’ariete per farne i caldi Guanti che oggi conosciamo. Da allora di Giasone si perse ogni traccia, ma i preziosi reperti ci danno muta testimonianza dell’eccezionale capacità artigiana del prode guerriero greco.
I Guanti di Giasone sono gelosamente custoditi a Pretoria, nel Eight Buffalos Countryhouse Museum, in una teca di polipropilene espanso, e possono essere visitati solo da individui sofferenti di geloni alle mani, a gruppi di cinque.


A cura di
Eusebio Nautilus II


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