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Tante opere della letteratura e del cinema mondiale sono rimaste per troppo tempo dimenticate in scaffali ammuffiti o in umide soffitte.
Questa rubrica si propone di riscoprirle e di dare loro il risalto che esse giustamente meritano.



Titolo: LA MANO SUL BOTTONE… È LA MANO CHE GOVERNA LO SCIACQUONE

La Toilette du Mal
di Pascal Peugeot ;
con Jean Jaque Gratin, Dora Pandòr,
Philliphe Superieur, Geraldine Soufflé e la partecipazione amichevole di Rex von Sidow; Francia 1979, colore, durata 141’, horror
(Titolo originale: La Toilette du Mal ).


Affrontiamo oggi la difficile impresa di recensire quest’insolito film, opera prima di uno straordinario regista francese, purtroppo venuto a mancare quattro anni fa in un inspiegabile incidente sul set del suo ultimo capolavoro, Proxtata, mai completato: stava controllando un’inquadratura sul dolly, quando il carrello, mosso maldestramente dal tecnico, lo ha proiettato in volo libero per trenta metri, prima di schiantarsi contro un alto muro di cemento armato, ricoperto di filo spinato ad alta tensione, mine antiuomo, lance acuminate e spuntoni di roccia, e cocci di bottiglie, quest’ultimi fatali al geniale regista. Brutta fine! Ma le sue ultime parole sono state: “ET VOILÀ LA LUMIÈRE!”, frase che potrebbe avere tanti significati: la visione di una luce in fondo al tunnel, oppure un inno ai fondatori del Cinema, o solamente il fatto che Peugeot abbracciasse un proiettore, prima di morire. Il mistero resta, ma queste parole sono rimaste nella storia della cinematografia moderna, alzate a gran voce come bandiera e slogan rivoluzionario di tanti cinefili, me compreso, in numerosi cortei di protesta.

LA TRAMA: Siamo in una tranquilla cittadina di campagna dell’alta Normandia, e una minaccia incombente sconvolgerà la vita della famiglia Saint Honoré. Regnava in quella casa una perfetta armonia, sebbene non si scambiassero fra di loro più di tre parole l’anno, quando ad un tratto, la signora Camille viene svegliata nel cuore del pomeriggio da agghiaccianti rumori che provengono chiaramente dal bagno. Entra titubante, e non riesce a credere ai suoi occhi: il marito, Coryolàn, dopo aver scaricato lo sciacquone, è rimasto a fissare il cesso inebetito, pronunciando frasi sconnesse e senza senso, come al solito. Lei, preoccupata per l’incolumità del suo bagno, chiede spiegazioni, e lui le confessa che una strana energia lo ha attirato al gabinetto, non appena tirato l’acqua. Lei ride, e scherzosamente appella il marito “credulone venefico”, ma le viene in mente di tirare lo sciacquone, per controllare. Accorre allora nella toilette la figlia, Caprice, perché vuole comunicare ai genitori l’angosciante scoperta che tutti nel quartiere sono nati il ventinove di febbraio, e li trova prostrati davanti alla tazza, con le mani nel bidè in posizione adorante. Per attirare l’attenzione dei due, si siede sulla tavoletta abbassata e comincia a cantare “Sono felice di non esser Berenice”, vecchio successo francese degli anni trenta, ma inavvertitamente sfiora il pulsante dello scarico, attivandolo. Dopo una settimana gli animi della famiglia sono mutati: litigano ferocemente per usare il bagno e soprattutto per premere il bottone dello sciacquone, rimangono delle ore a guardare lo spazzolone ripetendo “Salvami e purificami, possente spirito”, e in tutto questo hanno fatto fuori già la metà dei gatti dei loro vicini, per sacrificarli. L’unico insensibile a queste possessioni è il figlio minore dei Saint Honoré, Louis, che non ha l’abitudine di tirare lo scarico, e talvolta nemmeno di pulirsi, dopo aver espletato le sue funzioni fisiologiche. Non trova nulla di strano nel fatto che i suoi abbiano spostato i sanitari in salotto, ma sospetta che qualcosa non va quando il padre prende a rincorrerlo per casa con un’ascia, fischiettando per far finta di nulla. Louis tenta di tutto per convincere la famiglia a desistere da quell’insana abitudine, ma nota che il solo implorare piagnucolando non funziona. Stremato, si rivolge ad un idraulico. In una notte nebbiosa, da un taxi scende la figura intabarrata dell’idraulico, Mastro Merit (strepitosamente interpretato da Rex von Sidow), fumando senza ritegno. Fa un paio di domande ai Saint Honoré, e si reca in salotto, chiudendo la porta dietro di lui. Dopo aver cercato di smontare invano le tubature, capisce, guardando che lo scarico non si riflette nello specchio, che un’entità maligna si è impossessata del cesso. Ingaggia così un'estenuante lotta col demone, tra urla, formule di professione di fede idraulica, chiavi inglesi brandite come spade, effetti speciali. Alcune piastrelle volanti feriscono Mastro Merit, che riesce però ad attivare il saldatore e stacca il tubo principale dallo sciacquone. La tazza si anima e prende a salire per il muro, ma esplode fragorosamente, spargendo ogni dove una melma giallastra. La famiglia, messa ormai in salvo, può rientrare nel proprio salotto, ma scopre che Merit è stato ferito a morte da un rotolo di carta igienica maledetto, e spira tra le lacrime e le risate isteriche dei quattro, con un’efficace dissolvenza.

Nonostante il soggetto sia geniale ed originale nel genere horror, e gli effetti speciali siano ben curati (ricordatevi che siamo nel 1979! La melma gialla è gelatina di ribes.), il film rimane ancorato a vecchi schemi del cinema francese: lunghi dialoghi troppo articolati nei quali trapelano, spesso e volentieri, le parole della Marsigliese, movimenti di macchina lenti che inquadrano angoli di stanze dove non succede niente, la sgradevole abitudine di montare le scene con un’alternanza così serrata da suscitare conati di vomito.
Sicuramente pregevole è la colonna sonora del film, premiata quell’anno coll’Orso d’Oro al Festival del Cinema di Berlino, e che viene ancora intonata, durante il periodo di Pentecoste, nel distretto di Lione, ma gli abitanti vi hanno adattato le parole della Marsigliese.

SmileSmileSmile

[Meriterebbe solo due sorrisi e mezzo, ma oggi mi sono svegliato di buonumore]

a cura di
Rodrigo Alvaro Simon Maria Palombo
Nota sul critico


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