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A cura di Calogero Fragaglia
LE VONGOLE

Il mio amico archeospeleologo Ginevro Matalla, noto in tutto il mondo per i ritrovamenti in Uganda di scheletri ammuffiti di souvenir veneziani, tempo fa è stato protagonista di una scoperta che segnerà il mondo della scienza per decenni.
Come redattore di questa importantissima rubrica, io, Calogero Fragaglia, ho il dovere di riportare i fatti così come sono avvenuti.

Ginevro era nel bel mezzo di una gita di lavoro nel suo appartamento alla periferia di Pisa. Dopo 6 ore di ricerca, dal bagno allo sgabuzzino, dopo aver coperto la distanza di 8 chilometri andando su e giù per il corridoio, Matalla aveva ritrovato nell'ordine: un feticcio dello Zimbawe, una scatola di pasticcini del '34, una vecchia trottola dell'infanzia, una foto dell'amante di sua moglie e il telecomando del televisore perso la settimana passata. Stremato e sudato, confuso e felice non gli rimane che passare al setaccio l'unica stanza rimasta: la cucina.
Credenze, frullatori, forni a microonde, armadi e armadietti sono stati tutti analizzati e svuotati senza successo; nessun reperto rilevante. Ma all'improvviso la luce. Si, la luce del frigorifero illuminava una simpatica boccetta di vetro connotandola di colorazioni psichedeliche.
Gli occhi dell'archeospeleologo cominciano a brillare di luce propria mentre la certezza di una reale e rilevante scoperta si faceva sempre più netta. Presi gli strumenti del mestiere e i guanti di paraffina si avvicina lentamente e con la delicatezza di un caterpillar alla colorata boccetta riuscendo a versare 3 lattine di red bull, 4 uova e una bottiglia di prosecco d'annata.
Con il misterioso oggetto nelle precarie mani si dirige correndo verso il suo laboratorio dall'altra parte della città mentre fuori piovevano i sassi di Matera. Una volta arrivato freme la voglia di sapere propria dello scienziato che è in lui.
Accende tutti gli strumenti a sua disposizione compreso un vecchio carillon a forma di dinosauro. Finalmente a lavoro.
Bisogna stabilire il periodo a cui risale, la provenienza ma soprattutto la natura dell'elemento. Appurato infatti che il guscio (involucro) era composto di vetro di bassissima qualità, bisognava accertare la natura organica del contenuto.
Dopo giorni e giorni di analisi al microscopio al plutonio e dopo aver perso le ultime due diottrie rimaste decide che forse era meglio aprire il coperchio, altrimenti tutto era inutile. Detto fatto: il piccolo recipiente comincia una lunga e profonda emanazione di sostanze e odori indecifrabili ai più ma disgustosi anche alla più becera specie di mammiferi.
Un liquido giallastro con le proprietà corrosive della nitroglicerina e dal retrogusto di nafta permetteva a corpi privi di vita di galleggiare e lasciarsi trasportare dalla corrente. Si trattava di formalina. Alla luce di tutto ciò e dopo aver ricaricato la molla del carillon, Ginevro con l'ausilio di una pinzetta e di una maschera da saldatore estrasse uno di quei corpi dal liquido e lo adagiò sul vetrino del microscopio.
Emozionato come un bambino al circo, si avvicinò lentamente all'attrezzo. Dopo un attento esame scoprì che si trattava di una rarissima specie di mollusco di mare estinto ormai da qualche anno. La formalina e le radiazioni del microonde lo avevano trasformato regalandogli un'intelligenza fuori dall'ordinario. Il mollusco gentilmente accenna una forma di saluto cordiale anche se con qualche difficoltà. Poi senza perdere ulteriore tempo prezioso invita Ginevro a esprimere un desiderio.
E dopo 5 minuti di silenzio lo deride rivelandogli che era tutto uno scherzo.
Ginevro sviene per 3 giorni. Al suo confusionario risveglio il Nostro, nonostante le umiliazioni ricevute, decide di rimettersi all'opera per concludere la sua fatica.
Deve trarre le conclusioni e per facilitarsi il compito prende appunti schematici di tutte le operazioni fatte fino a quel momento, mentre nel barattolo gli altri molluschi stavano dando un party e si erano scolati tutta la formalina.
A questo punto Ginevro riprende in mano la boccetta e con un pennello da imbianchino cerca di levare la polvere e le incrostazioni accumulate su di essa. Il battito del suo cuore era così forte da animare il party a ritmo di techno music. La verità era vicina.
In basso, incisa a fuoco sul vetro cominciò a intravedersi una scritta rossastra utile, di certo, per stabilire quanto meno la provenienza del reperto. Prima una C, poi una O e ancora un'altra O. Infine, dopo una raschiata con la pialla di suo nonno Egidio uscì fuori una P…COOP.
Eureka!
Il mistero del mollusco era svelato. Ginevro scrisse un trattato di 1322 pagine con spiegazioni dettagliate del reperto e sulla storia di uno strano popolo, i COOP appunto, vissuti per lo più nei pressi di Napoli all'inizio del XX secolo.

Il trattato è oggi tradotto in 24 lingue, ma del reperto non si hanno più tracce.
Qualche parente di Matalla insinua che per il bene della scienza il nostro eroe abbia ingurgitato il barattolo intero di molluschi per vedere l'effetto che potevano provocare.
Da quel giorno in effetti l'archeospeleologo Ginevro Matalla non è ancora uscito dal bagno di servizio del suo appartamento.